giovedì 25 agosto 2011

Le miniserie a fumetti non sono morte e che la gente si scorda che esistono

Ho letto con molto piacere l'intervento che Giuseppe di Bernardo ha realizzato nel suo blog (NARRARE è RESISTERE) e che porta come titolo "Le miniserie a fumetti sono morte". Un post il cui titolo lascia ben poco spazio all'immaginazione, ma che comunque merita di essere letto perchè frutto del suo percorso lavorativo da autore e "insider" che ha lavorato sia a prodotto seriali come disegnatore ("Diabolik"), sia a miniserie create da lui stesso (come "L'Insonne" e "The Secret" attualmente pubblicato da Star Comics). Il motivo del mio post è semplice: da appassionato e fermo sostentore delle miniserie come formato rispetto alle cosìdette "serie infinite" mi sono sentito quasi in "dovere", se così possiamo dire, di rispondere alle sue argomentazioni. Ovviamente ciò che scriverò qui di seguito non è frutto della mia esperienza come autore o insider, visto che non ne ho alcuna avendo pubblicato solo qualche episodio autoconclusivo in antologici e un volume di prossima uscita in Francia. Esse sono frutto più del mio buon senso e della mia esperienza come lettore / aspirante lettore. In sostanza si tratta soltano di una serie di mie umili opinioni e come tali devono essere prese. Iniziamo.

LE MINISERIE A FUMETTI NON SONO MORTE E CHE LA GENTE SI SCORDA CHE ESISTONO


  1. Di Bernardo scrive nel suo post "da anni ormai si punta su miniserie di pochi episodi sperando di interessare il lettore italiano, sempre più stanco, annoiato e distratto, proponendo sempre nuovi personaggi, nella speranza che prima o poi uno di questi eroi sia la svolta di un mercato in evidenti difficoltà. Ma questo non succede. Perché? Che accidenti stiamo sbagliando?". A mio avviso il motivo di esistenza delle miniserie e del perchè della loro nascita aveva sia motivazioni di tipo "economico" e "narrativo". Da lettore / sceneggiatore posso dire che i motivi per cui apprezzai una tale svolta furono che soggetti e idee non adatte ad una pubblicazione "ongoing" avrebbero potuto essere pubblicate lo stesso, che il personaggio principale  e l'ambiente intorno a lui avrebbe potuto essere modificato e sopratutto la storia avrebbe avuto una fine. Una volta infatti completato il "viaggio" del personaggio, continuare la serie non avrebbe avuto senso. Quest'ultimo elemento ammetto di averlo ereditato dalla mia lettura dei manga, i quali però hanno anche il prolema della "fine rimandata ad libitum". Però il problema esposto da Giuseppe rimane. 
  2. Sempre Giuseppe illustra: "Il lettore non frequenta più l'edicola. Quei gabbiotti pieni di cartaccia sono stracolmi di offerte di ogni tipo." A mio avviso saebbe anche da aggiungere a tale frase, "sono stracolmi di offerte di ogni tipo, che molto spesso non hanno niente a che vedere con i giornali, i fumetti o l'editoria in generale". Questo punto è importante perché dimostra come l'editoria sia schiacciata non tanto dall'offerta dell'editoria stessa (es: troppi fumetti, troppi giornali), ma quanto più da giocattoli, carte di magic, film e altre cose. Insomma, sembra di vedere il tipico "bazar" da località balneare come Vada, Marina di Bibbona, Cecina e Cervia. E questa è la dimostrazione più preoccupante del fatto che, in generale, gli italiani non leggono NIENTE. Si lo so, Capitan Ovvio alla riscossa!
  3. Giuseppe continua: "Il costo degli albi è troppo BASSO per ricevere la spinta dell'edicolante che ha un ricavo irrisorio. Questo provoca che le testate che non appartengono ai grandi editori e che hanno quindi tirature limitate, non riescono ad emergere. Gli albi a fumetti non possono permettersi la pubblicità, non possono farla perché i costi di un passaggio televisivo, ad esempio, sono spropositati per i magri guadagni di un fumetto." - Questo è un passo molto importante che riguarda una moltitudine di argomenti che meritano di essere affrontati uno ad uno. Premesso quello che ho detto nel punto 2, il problema della spinta è che i fumetti spesso sono rilegati in angoli vetusti o in mezzo al porno sia per ignoranza dell'edicolante (ammetto di non aver capito che cosa intende Giuseppe per spinta, intende l'intenzione di mettere il fumetto nella propria edicola?) perché sotterrati da una enorme mole di altro materiale. Con il termine "emergere" penso che Giuseppe intendesse dire nell'ottenere visibilità e nell'incurosire. Solo che, ancora premesso tutto quello che c'è sopra, arriva il "Cane Ouroboros" (il cane che si morde la coda) a fare ancora più casino. In edicola tiratura limitata significa meno penetrazione del territorio e per esperienza personale i distributori da edicola spesso fanno delle distribuzoni sul territorio che sono degne delle leggi della teoria del caos. In alcune edicole ho visto arrivare di intere miniserie solo il primo numero o di altre solo numeri a caso e, per dirla tutta, ha fregato anch le serie "ongoing" costrigendo la gente ad avere notevoli buchi. Se si chiude il "ritmo" di "acquisto -> lettura" è finita. Sono esattamente nella stessa situazione quelle serie tv che hanno una "continuity" serratissima, dove se perdi un episodio è finita. Ed è questo che, secondo me, frega le miniserie. I suoi punti di forza vengono annullati dalla precaria disponibilità al pubblico. Giusto per parlare di esperienza personale, di "The Secret" ho il numero 1,2 e 5 perchè nelle varie edicole di zona dove abito, non sono mai arrivati il numro 3 e 4. Per quanto riguarda invece l'ultima questione di questo punto, c'è subito da chiarire una cosa. Se si parla dell'uso che ha fatto la tv di personaggi per motivi che non hanno collegamenti con il fumetto stesso (vedi le campagne contro la droga di Dylan Dog) è che sempicemente ormai sono usciti fuori dal costume. Cacchio, Dylan Dog all'epoca spaccava. Per quanto riguarda la pubblicità, se si esclude Topolino, non mi sembra che sia mai stata una "tradizione" anche nel caso di fumetti che vendevano un fracasso al'epoca. Se non sbaglio tentò qualcosa la Star Comics con Dragonball, ma ciò era supportato da una sere tv a cartoni animati che letteralmente distruggeva qualsiasi altra cosa a indici di ascolto (e lo fa tutt'ora, anche a livello fumettistico continua ad essere ristampato). Mi ricordo che la pubblicità era brutta, anonima ed estremanente corta.
  4. Giuseppe prosegue "La qualità non influenza le vendite. Ci credereste? Io non credevo alle mie orecchie quando un importante editore italiano mi diceva che il suo pluripremiato fighissimo eroe vendeva la stessa cifra della fetecchia fatta con la "tecnica René". I lettori erano praticamente gli stessi. Pochi.". Purtroppo c'è da credere molto nelle parole di Giuseppe perché la situazione è esattamente ciò che descrive. Questo però mi sembra il risultato di anni in cui sono stati pubblicati fumetti orribli e buttati nelle edicole senza alcun criterio o editing. Il pubblco sembra quasi abbia scordato la qualità di un fumetto, cosa rende un qualcosa pessimo o bello. Legge tanto per leggere, non importa cosa sia. mangia, senza gustare. A mio avviso questo potrebbe essere un effetto collaterale del fumetto "ongoing". Palando di me stesso, ho abbandonato Dylan Dog al numero 100, ormai portandolo avanti solo per arrivare al numero 100 il quale, una volta letto, stavo per buttarlo dalla finestra. Sta di fatto che però, prendendo i miei volumi di Dylan Dog mi accordo che via via che proseguivo nella lettura (ho iniziato a leggerlo con la ristampa del numero 5, "Gli Uccisori") si allargavano sempre di più i buchi, consapevole che tanto "non sarebbe cambiato nulla" e che se mi perdevo un numero non "crollava il mondo".
  5. L'ultimo punto che affronta Di Bernardo prima di proporre la sua "ricetta" è "Quindi, l'unico modo che ha una serie a fumetti di sfondare è quello del passaparola, ma il passaparola necessita di moltissimo tempo. Anni. Con miniserie di 6 episodi bimestrali non si va da nessuna parte". Interessante, ma gli unici fumetti che mi sento di applicare a questa teoria sono i manga a "lunga percorrenza" come One Piece, Naruto, Bleach, Inuyasha e Dragonball la cui pubblicazione è così lunga che un autore può anche morire di vecchiaia o di super lavoro dietro ad un manga. Se è successo con un fumetto occidentale di recente, vorrei un esempio pratico. Non è una sfida, eh, voglio saperlo davvero!
Da questo punto in poi Giuseppe di Bernardo illustra dei punti molto interessanti. Una sorta di "iceta" che secondo lui potrebbe essere applicata al fumetto "onoing", ma che secondo me alla fine si dimostra nient'altro che una lista di quali dovrebbero essere gli STANDARD minimi di qualità di un fumetto, sia seriale che non.

LA RICETTA
  1. "Per prima cosa, basta con le interpretazioni dei disegnatori. Capisco, ognuno ha il proprio stile, siete tutti artisti, ma all'inizio di una serie, i personaggi devono essere uguali in tutti gli episodi. Il lettore popolare e occasionale, che è quello che cerchiamo, ODIA che il volto del suo amato eroe cambi di volta in volta. Non lo sopporta. Quindi, ci vogliono tanti disegnatori ma un unico stile con tanti saluti alle vostre velleità artistiche." -> Su questo sono daccordo per il tipo di fumetto di cui si parla, il personaggio deve essere comunque riconoscibile altrimenti non viene percepito come lo stesso personaggio. Bisogna avere dei character sheet precisi e pretendere di essere aderenti ad essi. Cosa diversa se la struttura è divisa ad archi narrativi, se si tratta di un "elseword" oppure quello che si ricerca è proprio l'interpretazione dei vari disegnatori. Questo però è il prezzo di una serie "personaggio centrica". Il fatto è che però questa proposta di Di Bernardo si applica perfettamente anche ad una miniserie. Perché deve cambiare lo stile di disegno in una miniserie? Perchè il personaggo non deve essere ugualmente riconoscibile?
  2. "Secondo. Un team di autori ai testi. Basta con le prime donne che scrivono tutto loro. Capisco ci sia da pagare il mutuo, ma spesso si scrive troppo velocemente per avere realmente delle buone idee. E all'inizio è davvero fondamentale. Con una "bibbia" del personaggio molto dettagliata e una supervisione come si deve (non come quelle che vedo fare) si può uniformare lo stile di diversi autori e trovare un compromesso. Vorrei un team di soggettisti e almeno un paio di sceneggiatori dalla stilografica tagliente."-> Questa è la proposta più interessante di tutti. In questo modo sono realizzati i serial americani e l'animazione giapponese, dove l'impronta la dà uno sceneggiatore "capo" (di solito coincide con il creatore della serie), che spesso si riserva la possibilità di scrivere il primo episodio (il pilota), un episodio centrale e l'ultimo episodio. Serve molto lavoro di editing, ma secondo me è un'esperienza molto, molto interessante perché le teste a ragionare sono tante e se ben indirizzate, possono tirae fuori cose che magari il creatore della serie stssa non aveva pensato e che possono essere lo stesso benissimo in tema con il personaggo / ambientazione.
  3. "Contenuti contemporanei. Basta guardarsi l'ombelico. Il fumetto deve raccontare il fottuto mondo là fuori, non citare ossessivamente tutti i fumetti, i telefilm e i cartoni che hanno accompagnato la vostra crescita sociopatica. Bisogna avere il coraggio di dire cose forti, scomode, anche sbagliate, ma scioccanti. I brodini manieristi hanno fatto il loro tempo." -> Difficile farlo in una società "post modernista" come la nostra, dove il vecchio diventa nuovo e viceversa. La cosa però da tenere conto è che spesso manca un po' la coscienza civile di quello che c'è fuori dalla propria casa... non so se mi spiego. E questo discorso vale anche per le miniserie.
  4. "Ritorno alla serie regolare, magari divisa in stagioni, ma potenzialmente infinita.
    Bisogna ridare ai lettori la speranza di una certezza. Bisogna dare il tempo alle idee di farsi largo, di crescere, ai personaggi di entrare nelle abitudini dei lettori. Si compra per abitudine e questo vale anche per i fumetti. Dobbiamo aspettare che il prodotto inizi a circolare sotto banco tra i ragazzini, meglio se osteggiato dai genitori e dagli insegnanti. Un aspetto deflagrante che abbiamo scordato del fumetto è che era VIETATO. Questo gli conferiva un fascino irresistibile che pare irrimediabilmente perso.
    "-> Questo è un discorso che riguarda solo le serie "ongoing", ma pone un quesito interessante che esporrò parlando di D&D. Prima, anche chi parlava solo di calcio e motorini voleva comunque provare D&D. Adesso rifiutano tutto, divendo che si tratta SOLTANTO di roba da nerd. C'è un rifiuto culturale TOTALE verso determinati prodotti di intrattenimento. D'accordo con la strategia a stagioni perun fumetto ongoing, anche se il pericolo del "salto dello squalo" si aggira dappertutto. Sull'aspetto del "vietato", stava anche nel dettaglio che il fumetto all'epocadi Dylan Dog era, per come l'ho percepito io, un grosso taglio con il passato generazione dei fumetti dei genitori. Ricordo ancora che mio padre mi sgridò perché avevo comprato "Gli uccisori". Quello che è venuto a mancare, IMHO, è stato il salto generazione dopo la generazione Dylan Dog, cosa che secondo il mio avviso è stato occupato in forze ed in pianta stabile dai manga.
  5. "L'ironia. Il fumetto deve divertire. Divertire esprimendo anche la crudeltà e il cinismo della nostra società. Resto sempre dell'idea che manchi un nuovo personaggio cattivo nel fumetto italiano. Mi paiono tutti così stucchevolmente corretti." Secondo me il termine più giusto sarebbe "intrattenere" più che divertire, altrimenti sembra che deve dimostrare di essere solo una commedia. Forse quello che serve è più onestà intellettuale da parte degli autori, editori e lettori. Un personaggio cattivo può anche mancare, ed è vero, ma alla fin come lo giustifichi? Cosa crei quando la differenza tra buoni e cattivi praticamente non esiste? Un outsiders, un equilibratore?
  6. "Velocità di lettura. Poche vignette, bei disegni, dialoghi forti e secchi. Ogni frase una stilettata, un aforisma da appuntare col sangue sul diario." -> Questo è interessante perché sembra quasi la descrizione di un manga. I manga hanno una media vignette che oscilla da 3 a 4 (ovviamente come regola generale). Quindi il concetto sarebbe di liberarsi da certe imbigliature e puntare verso ritmo. "Fast as a Shark, hard as rock" mi viene da pensare.
  7. "Una operazione editoriale multi piattaforma. Non serve più rovesciare migliaia di copie in edicola, serve una organizzazione che agisca su più fronti: pubblicità virale sulla rete e non, pubblicazione del prodotto anche sulle nuove piattaforme, attirare l'attenzione dei media, creare una fitta rete di relazioni e contatti per instillare il prima possibile il nome del nostro nuovo eroe nelle testoline distratte dei compaesani. Gadget, tanti gadget capaci di essere usati e collezionati anche da chi non ha mai letto il fumetto." -> Questo discorso sembra essere il minimo indispensabile nel creare interesse verso un prodotto. Abbiamo un sacco di strumenti fighissimi, che ci permettono di raggiungere il mondo intero perché non usarli? Che cosa alla fine ci impedirebbe di creare un po' di viral marketing? Ah già, gli investimenti...
Mi scuso per gli eventuali errori di battitura, ma essendo connesso con una chiavetta devo stare collegato il meno possibile. 

1 commento:

Giuseppe Di Bernardo ha detto...

Ciao Marco, grazie della replica!
Quando scrivo: "ricevere la spinta dell'edicolante" intendo che, a causa del prezzo basso, l'edicolante preferisce piazzare, promuovere, proporre agli avvento, o semplicemente esporre altri prodotti che costano di più, perché la sua percentuale sarà più alta.

Nelle tue edicole non sono arrivati il 3 e 4? maledetti distributori... Forse perché gli albi affrontavano il tema delle congreghe massoniche e delle scie chinmiche? :P Ci boicottano!